Anatomia della Velocità: Ducati e l'Aerodinamica


Ducati affronta l'argomento AERODINAMICA dedicando una mostra temporanea alla questione più discussa degli ultimi anni in MotoGP.
Mi dispiace parlarne solo ora, a distanza di quasi un anno dalla sua inaugurazione, ma risulta quantomai attuale farlo ora, alla luce della nuova stella nata nel firmamento delle Rosse:
la PANIGALE V4 SUPERLEGGERA.
Ma ora, meglio che non perda altro tempo, via, veloce come il vento.


Veloce come il vento.
Sì ma quanto? Quanto può essere eloce il vento?
Rabbioso come il furiano che d'inverno spazza le coste adriatiche?
O matto come il garbino che raffica caldo facendo impazzire un po' tutti?
Percezione mendace una volta in sella ad una moto. Dove, anche se fuori c'è bonaccia, una volta in movimento sembra di affrontare tempesta. ento contrario, o meglio, resistenza che aumenta, all'aumentare della velocità.

Come aggirare l'ostacolo?
Aumentando i cavalli. Probabilmente potrebbe essere una parte della soluzione. Ma non sarebbe in grado di dare piena soddisfazione.
Alleggerendo la moto? Anche in questo caso i risultati sarebbero pressocchè impercettibili, poichè influenzerebbe l'accellerazione del mezzo, non sulla resistenza all'avanzamento.

La resistenza al moto deriva di fatto da una miriade di fonti, anche se solitamente si suole considerare solo questi due componenti:
Resistenza al moto e Resistenza aerodinamica.
La prima inficia prettamente le frizioni derivanti dal rotolamento degli pneumatici, la loro pressione, la quantità di coppia trasmessa, gli attriti sui rulli e perni, la superfice stradale, il peso del veicolo.
Ma è la seconda a nascondere le maggiori informazioni e chiavi di lettura per abbassare il coefficiente di resistenza ed incrementare notevolmente le performance: è infatti considerata una forza dominante, risultante dal movimento del pilota e del mezzo attraverso l'aria.

Sono dunque il peso e il drag aerodinamico ,i fattori che limitano maggiormente le performance di un mezzo.
Per quanto riguarda il Peso, il suo principale limite è dato dai costi: aumenteranno esponenzialmente ad ogni step di riduzione.
Apporta benefici tangibili in tutte le fasi dinamiche: la maneggevolezza e l'accellerazione s'intensificheranno e il pilota ne rimarrà colpito immediatamente. Ma sortirà ben pochi effetti sulla top speed.

Il Drag Aerodinamico è quasi come la panacea di tutti i mali: perchè la sua riduzione comporta vantaggi sia in accellerazione sia in velocità massima, e, come stiamo assistendo in MotoGP, genera grip meccanico in grado agevolare il lavoro del comparto ciclistico.

Ma andiamo per un attimo indietro nel tempo: l'età dell'oro della Motocicletta da corsa. Siamo nei primi anni 50, e le monocilindriche da corsa puntano a volare alto.
Arriva di prepotenza a Mandello del Lario il primo studio avanzato sull'aerodinamica. La prima galleria del vento viene costruita in fretta e furia per ottenere una forte leadership sugli avversari: piegare le lamiere e loro forme al volere dell'aria, soffiata ad oltre 200km/h.

Le carene mutano, come modellate dai flussi d'aria che impattano sull'alluminio, sfiorando il pilota perfettamente integrato nelle sue forme.
Forme a siluro, a campana, nate sotto l'impulso di vincere la sfida con la velocità. Contro un uragano, raccogliersi per farsi più meno ingombranti.
Fino al 1958 con la messa al bando delle carene a campana, troppo pericolose in caso di vento laterale, capaci di diventare vele e proiettare il proiettile a due ruote fuori dal tracciato.

Nemmeno un decennio dopo l'aerodinamica torna prepotente nel Motorsport, e lo fa su 4 ruote. Strizzando l'occhio alla più evulota aeronautica.
Compaio così sulle Lotus anni 70 le prime "ali" in grado di generare deportanza, a cucchiaio, capaci di schiacciare l'auto al suolo, sacrificando qualcosa in termini di velocità massima sull'altare dell'aderenza.


E nel 1974 i primi esperimenti sulle due ruote. La MV Agusta, che trae le proprie origini dal settore Aeronautico, più precisamente elicotterisitco, appone alla MV di Phil Read due "winglests", come si usa oggi. Non scenderà mai in pista, se  non per brevi test durante l'anno.


Troppo complessi i calcoli allora per stabilire la reale portata d'investimenti così costosi: un' auto non "piega, mantiene la propria silouette stabile durante la propria andatura. Una moto, proprio per i suoi pregi di elevata agilità e dinamicità muta forma ad ogni curva, arrivando a mettere in crisi soluzioni ideate per i rettilinei, per esempio.

Abbiamo dovuto attendere quasi 40 anni per tornare a vedere sviluppi aerodinamici estremi in ambito motociclistico: e mentre i loghi dei vari marchi di sigarette sbiadivano sotto i raggi delle leggi antitabacco, le bevande energetiche s'imponevano prepotentemente "mettondo le ali" al progresso tecnoclogico in MotoGP.

Arriviamo ai giorni nostri, nonostante sia passato un decennio da allora.
2010, Sachsering. Per affrontare il Toboga Sassone i Diavoli Rossi, capitanati dall'Ing.Filippo Preziosi, applicano due ali laterali alle carene delle Desmo16 di Stoner ed Hayden. Un sistema antimpennamento, a detta del Team di Borgo Panigale; poco convenzionale sicuramente, ma che palesava già la volontà ad approfondire il tema, aerodinamico.


Occorreranno altri 5 anni per assistere al loro fiorire sulle moto dei due Andrea ufficiali.
Siamo nel 2015, e questa volta è l'Ing.Luigi Dall'Igna ad estremizzare la tematica.
 
In Qatar vengono introdotte le famose winglets sulle carenature: da una semplice configurazione a monoplano, posizionata circa a metà altezza della fiancata, seguono altre varianti, come la seconda ala sul cupolino.


E, anche chi inizialmente le ha criticate, si troverà l'anno seguente a copiare di sana pianta l'impianto aerodinamico della Desmo16 GP15.


Ma è con la GP16 del 2016 che lo sviluppo aerodinamico raggiunge l'apice: la configurazione a biplano non cambia e gli ingegneri possono così soffermarsi sulle forme delle winglets.

Viene modificata l'apertura laterale di raffreddamento ampliare l’ala inferiore, aggiungendo un flap, mentre la deriva include una serie di louvers.

L’ala superiore si arricchisce di dettagli: una paratia (strake) rende il profilo discontinuo, aumentando la forza generata, e la deriva laterale acquista ulteriori profili per una maggiore efficacia. 

Nulla però è definitivo, dato che le incognite sono innumerevoli, durante la stagione si alternano entrambe le configurazioni in funzione dei circuiti.


A seguito dei reclami portati avanti da alcune Case, additando come gli sviluppi aerodinamici potessere gravare economicamente sui bilanci di fine stagione, nel 2017 il Regolamento pone nuovi limiti allo sviluppo: "Le appendici aerodinamiche possono essere montate purché costituiscano parte integrante della carenatura o della sella e non superino la larghezza della carenatura o della sella o l’altezza del manubrio".

Dalla superficie della carena non possono più sporgere ali, bensì “side-pods”, forme chiuse in vista frontale ottenute collegando l’appendice inferiore a quella superiore. 

Il Regolamento permette ancora di smontare componenti dalla carenatura, da omologare alla prima gara, e consente un solo aggiornamento durante l’anno. Il “side-pod” della seconda metà della stagione si poteva dividere, dando origine ad altre due configurazioni utilizzabili a seconda dei circuiti.


Nuovo cambio in corsa per l'anno 2019: ulteriori limitazioni all'orizzonte dove la metà inferiore della carenatura può solo ammettere appendici più strette rispetto alla parte superiore, mentre ogni appendice nel cupolino deve avere una forma “a freccia” oppure essere arretrata.
La prima vestizione Ducati omologata si compone di un triplano: i “side-pod” hanno forme simili fra loro, ognuna con un profilo inferiore e uno superiore che lavorano insieme.



Inevitabile la ricaduta sul prodotto di serie: Ducati ha sempre saputo trasferire, come da tradizione, le novità racing alle proprie moto stradali.
In questo caso, il pacchetto aerodinamico sviluppato in MotoGP, trova la sua naturale collocazione sulla nuova arma per assaltare il titolo WSBK, la Panigale V4 R, che eredita dalla "sorellona da Gran Premio" anche il modernissimo motore V4 desmodromico. 

Insomma, additata inizialmente come una "moda", alla prova del cronometro le nuove ali risultano essere estremamente effcaci nel tenere la moto incollata all'asfalto nelle accellerazioni più brutali, generando inoltre un carico aerodinamico verticale di oltre 40 kg a 270km/h sullo pneumatico anteriore, e migliorando la dinamica in utte le fasi guidate.

Non paga di quanto portato sulle piste del mondiale, Ducati oggi estende il kit aerodinamico anche alle versioni da 1100cc V4 e V4S.
Fino ad esasperare il concetto di winglets sulla nuovissima V4 SUPERLEGGERA, tornando al 2016 con la configurazione biplana della GP16.


Una belva da oltre 230cv prodotta in tiratura limitata, come le due serie prodotte nel 2014 e nel 2017.
Svincolata da qualunque regolamento tecnico, i tecnici Ducati hanno avuto carta bianca e hanno deciso di riportare in auge la configurazione aerodinamica a biplano, quella più efficace e più estrema tra quelle viste fino ad oggi.


Breve disamina sulle forme levigate dal vento.
Gli sforzi di Ducati in ambito aerodinamico però non si possono ricondurre semplicisticamente a quanto si è visto negli ultimi anni in MotoGP. Anzi, affondano le proprie radici nei primi anni da corsa dell'azienda.

Dalla Marianna con i primi cupolini, passando per il Siluro 100 capace di abbattere in un sol giorno ben 46 record mondiali.

E poi la 125 Bialbero, la 500GP, la 750 Imola del 72.

Passando per la rivoluzione modernista attuata da Massimo Tamburini con la Paso durante la metà degli anni 80. La prima Ducati full fairing, dove a farla da padrone, anzichè la meccanica è il design delle carene.



Radicali nelle loro forme avvolgenti, garantivano un'eccelsa penetrazione aerodinamica, riparando al contempo il pilota, assicurando inoltre un adeguato raffreddamento del motore.

Ed ancora la serie 851, che sembra mutuare le linee della Paso.


Fino alla 916, vera e propria instant classic: proporzioni raccolte quasi quanto le 500 da GP, un'aerodinamica avanzata, testata dallo stesso Tamburini sotto vari acquazzoni romagnoli (al fine di studiare le scie d'acqua lasciate sulla carena).

Le prese d'aria Naca, già viste sulla 851/888 vengono ridimensionate ed ottimizzate su un vestito rosso dalle proporzioni perfette, esaltato da un monobraccio, già visto a dir la verità sulla RC30, ma che sull'Italiana colpisce al cuore come un dardo di Cupido.


999: un fulmine a ciel sereno. Ha saputo dividere il popolo dicatista come mai prima d'ora.
Arriva alla fine di Luglio del 2002, con un acquazzone, come un acquazzone: pronta a lavar via le incertezze che fin dalla sua presentazione ad Eicma l'avevano accompagnata.

In pista vince e convince, frutto di una ricerca maniacale portata avanti dall'allievo di Massimo Tamburini. Mr.Pierre Terblanche, designer sudafricano approdato in Ducati nel 1989, che ha saputo firmare prima della 999, motociclette iconiche, come ad esempio la Supermono 550 e la MH900e.
Le proporzioni tornano ad essere accoglieni, meno estrema della 916 sarà la posizione di guida. Ergonomia per tutti, il claim di Terblanche, pensiero condiviso poi anche dai piloti, in grado di arrivare al limite senza affaticamenti eccessivi. E l'aerodinamica avanzata, attuale ancora oggi, con i pannelli laterali creati appositamente per garantire deportanza e dissipazione del calore dalla zona motore.



Le feritoie all'altezza del cupolino, in grado generare carico aerodinamico a velocità elevate.
Ma non è la 916, non ha il monobraccio e fa fatica ad essere digerita. Lei non se preoccupa, perchè ha fame di vittorie, fino a farne indigestione.

1098/1198: un ritorno alle origini.

Abbandonato il percorso stilistico inaugurato da Pierre Terblanche, nel 2006 si torna a linee meno spigolose, più vicine a quelle della 916. Semplificando però le soluzione che caratterizzavano le due serie precedenti.

1199/1299 Panigale: addio cinghie, benvenuto Superquadro.

La Panigale rappresenta l'essenza Ducati fatta moto. Piccola, potente e seducente come non mai. Dimensioni compatte, soluzioni mutuate direttamente dalla MotoGP, come il telaio monoscocca, la rendono un appagamento costante per gli occhi. Mancando tuttavia l'appuntamento col titolo mondiale.

E dopo un digiuno forzato che dura da quasi 9 anni, a riprovare dove il V2 Superquadro non ha concretizzato, tocca a Lei. E chi ben comincia...

Ducati Panigale V4R

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