IL MANTRA BIMOTA : TIMELESS DESIGN SERVES THE MECHANIC. PART 1 STREET PRODUCTION

Buongiorno Buongiorno Amici!
Ultimamente arrivo un po' lungo nella stesura degli articoli, e per questo chiedo venia.
Dare la colpa al mio primo lavoro sarebbe troppo facile. Quindi chiedo semplicemente scusa.
Tuttavia spero di poterVi offrire qualcosa di un po' insolito ma pur sempre interessante fonte d'ispirazione, svago o semplicemente 5 minuti di pausa fax non troppo monotoni!
Mi sto fissando un po' troppo con Bimota dite?
Probabilmente sì, ma credo di averne ogni diritto! Ha tracciato un corso stilistico e dato una ventata d'innovazione tecnica che poche altre piccole realtà artigianali hanno saputo fare, se non addirittura le grandi factory.
La testimonianza di questo enorme lascito è portata vanti con un impegno senza precedenti da un vero cultore, forse il più grande amante di Bimota:
PAOLO GIROTTI.

Si è da poco concluso il II Raduno Internazionale BIMOTA CLASSIC PARTS, e faccio i miei grandi complimenti a Paolo a tutti coloro che hanno collaborato con Lui.



Dopo aver inquadrato la situazione Bimota nel precedente articolo, senza soffermarmi sulla produzione attuale, praticamente estinta ma di un fascino irresistibile, vorrei darVi una mia chiave di lettura dei modelli passati che hanno lasciato un segno, un imprinting  che, suppur invisibile, rimane presente ancor oggi:
Il design segue la meccanica.
Vessillo del pensiero del Michelangelo della moto, nonchè cofondatore della Bimota stessa, M.T.
Soluzioni tecnologiche all'avanguardia, cura certosina dei particolari, materiali nobili, ricerca, olio di gomito, manualità ed una passione sconfinanta.
Ingredienti che stanno alla base della produzione Bimota.
Tanto in quella stradale, quanto in quella più estrema da ricercare in pista.

Rottura.
Una visione di rottura o frattura col presente. Proiettando le proprie moto in un tempo non ben definito, ma alla ricerca di perenne della perfezione, magari senza raggiungerla, ma andandici molto vicino.
Rottura con i canoni di design convenzionale.
Scelte costruttive ardite.
Restano Icone senza tempo ma capaci di collocarsi benissimo in qualunque spazio tempo.
Una visione che tutt'oggi manca alle moto odierne. Dove la meccanica va ad asservire il design, stravolgendo a volte la dinamica della moto.

Anni 90.
Pieno fermento creativo in ambito motociclistico.
Passati gli anni 80, la voglia di prestazioni assolute con i turbo e i due tempi arriviamo all'ultima decade del XX secolo con un gran fermento stilistico.
Il Monster di Galluzzi ne è l'esempio lampante.

Rinnovare stilisticamente il concetto di moto scarenata, la parola naked che entra prepotentemente nel Nostro liguaggio comune, prima rilegata ad esser sussurata per non attirare troppi sguardi.
Il Mostro era pronto per fare il suo debutto in società.
Non dimentichiamoci lo scalpore suscitato quando Ducati ha introdotto sul mercato nel 1993 l'opera di Galluzzi, grazie anche alla risonanza del proprio blasone.
Non è da dimenticare neppure quello che ha fatto Bimota nei mesi a venire.

MANTRA

Un Mantra, (fonte wikipedia), (devanāgarī: मन्त्र) è un sostantivo maschile sanscrito (raramente sostantivo neutro) che indica, nel suo significato proprio, il "veicolo o strumento del pensiero o del pensare", ovvero una "espressione sacra" e corrisponde ad un verso del Veda, ad una formula sacra indirizzata ad un deva, ad una formula mistica o magica, ad una preghiera, ad un canto sacro o a una pratica meditativa e religiosa.
Sconfino nel religioso?
Non c'è nulla di male credetemi.
Canto sacro dunque.
In Bimota inoltre sanno bene quanto sia importante il cuore di ogni moto. E qui hanno scelto di continuare quel sodalizio desmodromico che ha permesso di farci ammirare veri e propri capolavori.

MANTRA, dicevamo.
L'Ing.Taglioni parlando del Suo desmo era solito affermare: "Come riconoscerlo? Il rumore di funzionamento è quello che va in risonanza con il cuore… è difficile distinguerlo solo per chi non può capire…"


Mantra, mai nome fu più azzeccato.

Bimota, da sempre impegnata alla produzione di moto supersportive stradali e prototipi, o viceversa, con la Mantra ha sovvertito gli schemi nuovamente. Presentata nel 1993 all'EICMA, esattamente lo stesso anno di produzione del Monster di Galluzzi, ha letteralmente spaccato in due la critica e il pubblico, mai visto qualcosa di simile prima d'ora.


Il desmo 900, lo stesso che equipaggia l'M900, ora è incastonato nel telaio a traliccio ellittico sapientemente disegnato dalla matita di Lakic. 
La prima roadster made in Rimini.
Più a suo agio in città e strade collinari, tortuose, con lunghi saliscendi, dove si trovano esattamente i Nostri appennini, da Nord a Sud, piuttosto che nei curvoni veloci dei circuiti o i lunghi ed immensi rettilinei autostradali.


Desmodue 904cc.

Il glorioso pompone è qui refocillato da importanti carburatori Mikuni da 38, e frenato nella sua irruenza dall'ormai famoso San Brembo.

Tecnica sopraffina esaltata da un'estetica che lascia davvero senza parole. 
Non in positivo o negativo. 
Semplicemente attoniti. 
Il lato B poi colpisce per una perfetta simmetria. 
Quattro canne d'organo infine celebrano in toto l'inno a Taglioni.

Poco conosciuta? Forse
Di poco carattere? Vi sbagliate di grosso.
RINGRAZIO DI CUORE NUNZIO PER LE OTTIME FOTO DELLA SUA BIMBA!

FONTE BIMOTA CLASSIC PARTS
Motore: il propulsore è quello delle Ducati 900 SS/Monster. Cilindrata effettiva 904 cc. Due cilindri. Potenza Massima 86 Cv a 7.000 giri. Coppia massima 9.2 Kgm a 5.700 giri. Alimentazione tramite 2 carburatori Mikuni da 38 mm. Distribuzione desmodronica. Raffreddamento ad aria e olio. Frizione a dischi multipli a secco. Cambio a sei rapporti.
Telaio: il telaio consiste in una struttura perimetrale in tubi di alluminio a sezione ovale. La sospensione anteriore è una forcella Paioli da 43 mm. La sospensione posteriore ha un ammortizzatore oleopneumatico regolabile in estensione e precarico della molla. Il freno anteriore è un doppio disco Brembo da 320 mm. Il freno posteriore è un disco Brembo da 230 mm. Peso a secco 172 Kg.
Colorazione: doppia. Quasi tutte hanno la colorazione giallo-grigio scurissimo. Dicitura “Bimota” in piccolo ai lati del serbatoio. Logo “b” in doppio profilo bianco ai lati del frontale. Cornice del fanale grigia. Spoiler inferiore bicolore, grigio chiaro e scuro. Cerchi neri. Una piccola serie è stata colorata di rosso anziché giallo. 
Prestazioni: dalle riviste specializzate è stata rilevata una velocità massima di 206.5 Km/h e una accelerazione sul quarto di miglio di 11.48 secondi.
Produzione: la DB3/Mantra è stata prodotta per un totale di 454 esemplari. Di questi 426 hanno colorazione gialla e 28 rossa.

BIMOTA TESI
Per info dettagliate sul mondo TESI Vi consiglio di cliccare qui !

Proseguo a ritroso nella mia trattazione escludendo volontariamente la produzione ultima, in quanto quasi tutte le riviste di settore hanno dedicato loro prove, comparative e dibattiti.
E dirigo lo sgurdo ad una creatura nata dalla mente dell'Ing.Marconi, e che solo Bimota poteva commercializzare.
TESI



Priva di sistema ammortizzante a forcella tradizionale, la TESI si affida ad un sistema sospensivo completamente inedito che le regalava una stabilità sconosciuta alle motociclette dell'epoca (ma anche ad alcune odierne), un inserimento senza affondamento e una stabilità in percorrenza di curva mai vista prima.

Il design è senza tempo, privo di fronzoli che indicano il periodo storico di produzione. Equipaggiata con vari motori, dai V4 honda passando per i Desmodue, i Desmoquattro, i Testastretta, ha regalato sogni ad occhi aperti a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di vederne una dal vivo.
Doppio Telaio Omega con ancorato un forcellone anteriore dotato di sistema di sterzo nel mozzo ruota. Marconi prenderà spunto da Difazio, Ingegnere meccanico Belga, per approfondire e sviluppare quello che sarà a tutti gli effetti considerato un terremoto in ambito motociclistico.



Sviluppando ulteriormente il concetto di separare l'effetto ammortizzante da quello di sterzo - i due effetti si influenzano a vicenda e a farne le spese è la dinamica di guida - con l'innovativo sistema già visto su alcune Elf da Gp, per la prima volta su strada si vede un prototipo con luci e targa appresso. La possibiltà di modificare l'interasse o l'avancorsa senza condizionare la dinamica di guida è tutt'oggi un qualcosa di magico. Immaginatelo nel 1983. 
Unico scotto da pagare è la complessità del meccanismo fatto di aste di rinvio e manovellismi anche di dimensioni veramente piccole.

Cura maniacale dicevo.
Innovazione.
Rottura.

Qui la strumentazione.

Lo sviluppo tecnologico ad oggi non si è fermato, perchè sarebbe da pazzi anche solo pensarlo, senza doverlo affermare.
Ma il fermento che si è vissuto negli anni 80/90 e primi 2000 è davvero lontano.
Le uniche innovazioni sono in ambito elettronico, che pur salvandoci la vita grazie alla sicurezza passiva, o regalandoci angoli di visuale maggiore alle luci adattive, o ancora le "mappe" motore per imbrigliare potenze monstre, dall'altro fanno vivere un periodo di stagnazione alla filosofia della tecnica ingegneristica e del design più ricercato.
Ricordiamoci delle radici.




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